Ducasse a Versaille: una tavola da re

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Tavola del ristorante ore - Ritratto dello chef Stéphane Duchiron
© Atelier Mai 98 / Pierre Monetta - Tavola del ristorante ore - Ritratto dello chef Stéphane Duchiron

Tempo di lettura: 0 minPubblicato il 6 febbraio 2018

Il castello di Versailles si visita. Ma può anche essere degustato. Incarnazione della gastronomia francese, se ne esiste una, Alain Ducasse ha scelto questo luogo ricco di storia, il Pavillon Dufour, per il ristorante che ha chiamato ore - termine latino che sta per bocca. Dal menù all'uniforme dei camerieri, dall'ambiente alla presentazione dei piatti fino al servizio, tutto concorre a fare di un pasto consumato nei saloni di Versailles un'esperienza eccezionale. Ai fornelli: lo chef Stéphane Duchiron.

Perché questo luogo? In quale modo il castello, la sua storia e quella di coloro che vi hanno scritto la Storia l'hanno ispirata?

In questo luogo unico, di giorno proponiamo ai visitatori dei classici della cucina francese, ma anche piatti leggeri e veloci per uno spuntino, oppure della pasticceria. La sera, dopo le visite, la location viene aperta ai privati e diventa teatro di grandi cene in un'ambientazione che evoca il cerimoniale della corte reale. Due esperienze culinarie memorabili in una cornice storica prestigiosa.

Veduta notturna del cortile reale
© Christian Milet - Veduta notturna del cortile reale

Ci racconti delle sue cene a Versailles. Cosa troviamo sulla e intorno alla tavola?

Dal menù all'uniforme dei camerieri, dall'ambiente alla presentazione dei piatti fino al servizio, tutto concorre a fare di una cena nei saloni di Ducasse au au château de Versailles un'esperienza eccezionale. Nei saloni del XVII secolo dalle squisite proporzioni - con le pareti rivestite di grigio talpa, i camini e gli specchi - i piatti che serviamo sono quelli dei menù di Choisy che risalgono alla metà del XVIII secolo. Il mio compito è di offrirne una versione contemporanea. Come dice Alain Ducasse: "Ispirarsi ma non copiare: la cena a Versailles che abbiamo immaginato è un'evocazione, non una ricostruzione".

Come si traduce in cucina tutto ciò? I piatti e i sapori di quell'epoca sono ancora nel menù?

Per poter elaborare piatti rispettosi dello spirito della cucina del XVIII secolo ma, allo stesso tempo, graditi ai palati contemporanei, è stata fatta una ricerca molto approfondita. I menù propongono solo prodotti utilizzati in quel periodo: ci sono le ostriche, ma praticamente si tratta solo delle conchiglie, i pesci di fiume (carpe, trote, pesce persici, lucci, anguille) sono frequenti, il vitello è molto usato a differenza dell'agnello. Lo stesso per le verdure: nelle ricette usiamo cavolfiori, cardi, fagiolini, carciofi, piselli ma non pomodori né zucchine che, sebbene fossero già conosciute, saranno consumate solo più tardi.

Una tavola "reale" del ristorante ore
© Atelier Mai 98 - Una tavola "reale" del ristorante ore

Si cena sotto i fastosi soffitti dorati del castello come si faceva un tempo oppure ci sono dei rituali, un cerimoniale particolare?

Sulla tavola fanno bella vista oggetti preziosi, tra le opere più belle delle arti decorative del XVIII secolo. Le stoviglie provengono dall'Antica Manifattura Reale di Limoges. La maison Bernardaud, da cui è stata assorbita, ha riproposto tre modelli storici identici per la tavola del ristorante. Il cerimoniale evoca i fasti del passato, pur essendo stato adattato alle esigenze di oggi. Alcuni rituali sono stati conservati, come offrire una salvietta inumidita per lavarsi le mani prima dei pasti. Il servizio è "alla francese", che consiste nel portare in tavola un gran numero di piatti in portate successive. Abbiamo anche rispettato la struttura del menù, ispirata alla sequenza di presentazione delle portate del XVIII secolo, così come è descritta nella famosa opera di François Massialot "Le cuisinier royal et bourgeois" pubblicata nel 1693. La vera ricetta dell'"oille", originariamente servita all'inizio del pasto, era un piatto a base di carne. Noi lo abbiamo alleggerito ed oggi è un piatto a base di verdure.

Per Lisa Azorin

Giornalista-redattrice