Concludiamo la serie delle nostre Cartoline d’Anniversario con un grande artista che non è nato in Francia ma ha scelto la Francia per dipingere, per creare, per morire: Vincent Van Gogh. Morto suicida (anche se un alone di mistero avvolge ancora la sua fine) 130 anni fa, il 29 luglio del 1890.
Da Parigi alla Provenza
Vincent Van Gogh arriva a Parigi nel 1886. Ha 33 anni, dipinge da 5, e nella capitale entra in contatto con i pittori che animano il panorama artistico della città, da Toulouse-Lautrec a Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley e Seurat, il mercante di colori Julien père Tanguy, Paul Signac e naturalmente Paul Gauguin. Poi si trasferisce nel Midi, alla ricerca di luce, di sole, di quel giallo che sarà un po’ la cifra dei suoi quadri (e che pare fosse effetto dell’uso/abuso della digitale). Si stabilisce ad Arles nel 1888, dove dipinge con euforia oltre duecento dipinti fra i suoi più famosi, a cominciare dagli iconici Girasoli, e un centinaio tra disegni e acquerelli.
Prende in affitto l'ala destra della Casa Gialla, nella zona nord della città, dove sogna di fondare l'Atelier du Midi, una comunità solidale di artisti.
Ad Arles lo raggiunge Gauguin, ma la convivenza è subito difficile. Avviene qui il famoso – e ancora per certi versi oscuro - episodio dell’orecchio mozzato, epilogo drammatico di una delle tante liti fra i due: il pomeriggio del 23 dicembre, Vincent rincorre per strada Gauguin con un rasoio, quindi rivolge verso di sé la sua furia lesionista tagliandosi il lobo dell'orecchio sinistro (offerto poi come «regalo» a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare), ma potrebbe essere stato ferito proprio da Gauguin. In ogni caso, Gauguin lascia Arles e Van Gogh viene ricoverato all'Hotel-Dieu, l'antico ospedale di Arles. Una volta terminata la degenza, torna alla Casa Gialla, ma il 9 febbraio viene nuovamente ricoverato in ospedale. E dopo un nuovo delirio, l'8 maggio 1889 entra volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy de Provence, una ventina di chilometri da Arles. Nella clinica di Saint-Rémy dipinge ben centoquaranta dipinti, fra cui il capolavoro Notte stellata. Due località da visitare per entrare in sintonia con Van Gogh. Ad Arles imperdibile lo splendido museo a lui dedicato.
Le allucinazioni continuano, alla fine del 1889 tenta di suicidarsi ingerendo colori velenosi. Il 16 maggio 1890 lascia definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Passa tre giorni in casa di Théo, poi, il 21 maggio parte per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a una trentina di chilometri da Parigi dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Gachet, omeopata, darwinista, di idee socialiste, che si sarebbe preso cura di lui.
Auvers-sur-Oise, gli ultimi giorni di Van Gogh
Auvers-sur-Oise è una piccola città dove hanno soggiornato diversi artisti, da Cézanne a Camille Pissarro... Oggi è un luogo di pellegrinaggio per i fan di Van Gogh: passeggiare per le vie è come entrare nei suoi quadri (le cui riproduzioni sono sparse proprio dove l’artista posò il cavalletto): la chiesa, i campi di grano, la casa del dottor Gachet.. E poi l’Auberge Ravoux, dove Van Gogh alloggiava: è chiuso fino a marzo prossimo, quando si potrà rivedere la sua stanza. Ma ora c’è una nuova tappa, scoperta proprio in questi tempi di pandemia e appena inaugurata come “ luogo Van Gogh”. Si tratta della stradina dove l’artista dipinse il suo ultimo quadro, Radici, e dove ha trascorso le ultime ore della sua vita. Poco lontana dall’Auberge Ravoux, è stata individuata dal ricercatore Wouter Van der Veen, direttore dell’Istituto Van Gogh di Auvers-sur-Oise. Che ha scoperto una vecchia cartolina dove sono visibili gli alberi, le rocce e le radici dell’ultima opera. Una sovrapposizione dell’opera di Van Gogh alla cartolina ha confermato l’intuizione: è lì, in quella stradina di campagna, che Van Gogh ha passato la giornata a dipingere, era il 27 luglio 1890, una domenica. Una scoperta confermata da Teio Meedendorp ricercatore dal Museo Van Gogh di Amsterdam che conserva il dipinto.
Come se il quadro fosse una lettera d’addio dipinta, una sorta di lotta fra la vita e la morte rappresentata da quelle radici contorte. In questo senso la scelta del suicidio sarebbe stata una scelta lucida e meditata. Un’altra ipotesi- mai confermata- parla invece di un colpo di pistola sparato accidentalmente da un gruppo di ragazzi, che l’artista non volle denunciare.
In ogni caso, il pittore, gravemente ferito, raggiunge l’Auberge la sera e si chiude in camera. Ravoux, non vedendolo, sale in camera sua, trovandolo disteso e sanguinante sul letto: a lui Van Gogh confessa di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco in un campo vicino. Rifiuta di dare spiegazioni del suo gesto, ma al dottor Gachet dice di aver tentato con coscienza il suicidio e che, se sopravviverà, dovrà «riprovarci»: «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca». Il dottor Gachet, nell’impossibilità di estrarre il proiettile, si limita a fasciarlo, fiducioso nella guarigione. Vincent trascorre tutto il 28 luglio con il fratello Théo accorso la mattina dopo, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confida ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Si spagne all’1.30 del mattino del 29 luglio.
Il sito dell’ultimo quadro da fine luglio è protetto da una struttura di legno e si appresta a diventare la penultima tappa del pellegrinaggio sulle tracce di Van Gogh. L’ultima è nel piccolo cimitero dove Van Gogh riposa accanto al fratello amatissimo Théo, morto sei mesi dopo. Le due tombe sono unite da una pianta d’edera che le ricopre entrambe, e ogni tanto qualcuno posa un girasole, il fiore che Van Gogh tanto amava.
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